Le imprese rosa oltre quota un milione

L’ impresa femminile è giovane, abita nel Mezzogiorno d’Italia e cresce a un passo doppio rispetto a quella maschile.
Lo dicono i dati Unioncamere, che registrano nel 2015 un più 0,4%; un progresso piccolo piccolo, ma le aziende femminili attive in Italia fanno comunque meglio della media delle aziende, che si limita a +0,1 per cento, e procedono con una velocità doppia rispetto a quelle degli uomini . Una pattuglia di 1 milione e 153mila realtà, con Trentino Alto Adige (+1,3%), Calabria (+1,2%) e Toscana (+1,1) nel ruolo di traino.

Lombardia, Lazio e Campania si aggiudicano il podio per numero di imprese femminili presenti in Italia: da sole ne detengono più del 33 per cento. Se si guarda invece al tasso di femminilizzazione, questo indicatore raggiunge i livelli massimi (oltre il 26%) in Molise, Basilicata e Abruzzo. Più in particolare è Benevento la capitale delle donne che fanno impresa: tre imprese su 10.

I dati fotografano anche una diversa composizione per settori: le imprese al femminile rappresentano il 22,4% del totale Italia, ma sono presenti in maggioranza nel settore agricoltura, dove arrivano al 29% delle attive, e sono più che numerose anche nei servizi (25,8%). In quest’ultimo campo si arriva a percentuali superiori al 50% (fra lavanderie, parrucchieri, estetiste e benessere in senso ampio). La percentuale delle imprenditrici nel tessuto produttivo nazionale raggiunge livelli superiori alla media anche in ambiti quali i servizi alla persona (49%), la sanità e l’assistenza sociale (38%), l’istruzione (29%), l’alloggio e ristorazione (29%). L’industria si ferma al 10,4 per cento (ma nel manifatturiero arriva a toccare il 17,3%).

Quando le donne scommettono sull’impresa lo fanno scegliendo in prevalenza la forma giuridica più semplice: quella individuale arriva al 71%, tuttavia le cooperative raggiungono un’incidenza a livello nazionale del 20 per cento.
E fa ben sperare che l’impresa giovane parli sempre di più al femminile. Si trovano soprattutto tra gli under 35 le donne che scommettono sull’arte dell’intraprendere mettendosi in proprio: quasi un a impresa su tre tra quelle di under 35 (548mila in Italia) è a trazione femminile. Complessivamente si tratta di oltre 152mila unità, pari al 28% del totale delle imprese giovani. Come a dire che fra i giovani imprenditori la parità di genere sembra essere un traguardo finalmente raggiungibile.

I dati vanno letti tenendo conto della classificazione: per le società di capitale si definisce femminile un’impresa nella quale la partecipazione è superiore al 50%, mediando fra quote di partecipazione e cariche attribuite. Nelle società di persone e cooperative vale la metà almeno di soci donna, mentre per le ditte individuali si guarda alla titolarità.
La crescita è comunque trasversale: riguarda le imprese con presenza femminile esclusiva (che sono 974mila. +0,3%), forte (143mila, +1%) e maggioritaria (+1,6%).

Nel White Paper della Harvard Business School,  viene descritta la grande opportunità offerta dalla trasformazione digitale, sebbene la sua implementazione rappresenti un’ardua sfida per i manager aziendali. Le aziende “pioniere” della trasformazione digitale hanno ottenuto prestazioni migliori rispetto alle “ritardatarie” dell’implementazione. In base alla ricerca, le prime abbracciano l’opportunità digitale con una visione strategica e un modello di esecuzione completamente differenti. Tuttavia, l’ampia distribuzione della tecnologia digitale impone alle aziende di ridefinire i modelli operativi e aziendali in uso.

 The_Digital_Business_Divide_white_paper (1)

L’unica regione sguarnita è rimasta il Molise. Nel resto del Paese, invece, non c’è area che non possa contare almeno su un ospedale che dispone di un robot operatorio. Con l’installazione del centesimo robot Da Vinci, avvenuta nelle scorse settimane al policlinico di Catania, l’Italia si conferma leader europea nell’utilizzo della chirurgia robotica. A pari merito, c’è soltanto la Francia: alle spalle Germania e Gran Bretagna. Mentre nel mondo, a precederci, ci sono soltanto gli Stati Uniti e il Giappone.

La chirurgia robotica è un’opportunità reale per i pazienti: soprattutto per coloro che s’accingono a sottoporsi a un intervento di chirurgia urologica, la branca in cui si effettuano quasi sette interventi su dieci sui diciottomila conteggiati lo scorso anno lungo la Penisola. Ma il robot Da Vinci è utilizzato anche per interventi in ambito ginecologico, cardiochirurgico, toracico e oggi finanche nella chirurgia dei trapianti. Una rivoluzione progressiva, che se da un lato arreca benefici ai pazienti nasconde anche un’insidia: quella di avere in futuro chirurghi in grado di operare soltanto attraverso i bracci dei robot e non di intervenire con le proprie mani nel corpo di un paziente, nei casi più complessi.

La prostata viene asportata quasi sempre col robot  

È l’urologia l’ambito in cui il robot Da Vinci la fa da padrone. I motivi di tale successo sono diversi. La precisione del robot consente maggiore facilità di accesso alle anatomie più complesse, una precisione demolitiva e ricostruttiva senza eguali, una minore perdita di sangue, una riduzione della degenza post-operatoria e una diminuzione degli effetti collaterali: disfunzione erettile ed incontinenza, frequenti soprattutto a seguito dell’asportazione di una prostata colpita da tumore (intervento che nella quasi totalità dei casi oggi avviene in chirurgia robotica).

L’introduzione nel sito operatorio di una telecamera consente una visione tridimensionale in grado di moltiplicare fino a dieci volte la normale visione dell’occhio umano, mentre i gesti chirurgici si fanno più ampi.

Spiega Walter Artibani, direttore dell’unità operativa di urologia dell’azienda ospedaliero-universitaria di Verona e segretario generale della Società Italiana di Urologia: «Il robot conferisce al gesto chirurgico una precisione non confrontabile con altre tecniche e permette di superare i limiti legati alla difficoltà di trattare, con la laparoscopia, malattie in sedi anatomiche difficili da raggiungere. Inoltre la possibilità di avere una doppia postazione consente di poter effettuare, oltre a interventi precisi e mininvasivi, una eccellente formazione professionale». Ma è anche la chirurgia del rene a trarre beneficio dalla chirurgia robotica. In passato, per esempio, l’organo colpito da un tumore si asportava per intero. Oggi, invece, «se le dimensioni del tumore sono comprese tra tre e sette centimetri, si effettua una resezione parziale in chirurgia robotica», aggiunge Vincenzo Mirone, direttore della clinica urologica dell’Università Federico II di Napoli.

La sostenibilità economica  

Due anni e mezzo fa, quando ci occupammo dell’evoluzione ultima della laparoscopia erano 77 i robot Da Vinci presenti negli ospedali italiani. Oggi sono cento: segno che in questi anni s’è lavorato soprattutto per colmare il divario tra le aree geografiche. Secondo Mirone «a eccezione della Lombardia, dove ve ne sono 22 anche in ragione dell’elevata presenza di strutture private, la distribuzione sul territorio nazionale è più o meno equa, se si considera la densità di popolazione». Detto del vuoto del Molise, spiccano i «soli» tre Robot presenti in Emilia Romagna (Bologna, Forlì, Modena) e l’unico (Crotone) disponibile in Calabria. Un gap continua comunque a esistere, se al Nord se ne contano 51, al Centro 30 e al Sud 19.

«La robotica nelle regioni meridionali oggi funziona abbastanza bene, ma occorre completare questo percorso di sviluppo che può aiutarci a contenere la migrazione sanitaria», prosegue Mirone, che lavora in una regione in cui si contano sei dispositivi. L’acquisto è ancora abbastanza oneroso per le strutture: servono circa tre milioni di euro per dotare un ospedale di un robot Da Vinci. Mentre la rimborsabilità (dalla Regione alla struttura) di un intervento è sì superiore alla stessa garantita per un intervento a cielo aperto, ma non poi di tanto. Nel tempo, però, il sistema è sostenibile, assicurano gli esperti.

«I pazienti urologici operati con la chirurgia robotica si alzano già a poche ore di distanza dall’intervento e vengono dimessi in seconda giornata», prosegue Mirone, ricordando che un giorno di degenza in ospedale arriva a costare fino a 500 euro. Serve raggiungere almeno la soglia di duecento interventi l’anno per rendere il robot una opportunità piena ed evitare il rischio di uno spreco. Mentre un chirurgo si considera esperto nella gestione del robot se effettua almeno cinquanta procedura all’anno.

Come lavoreranno i chirurghi del futuro?  

Il presente è dunque più rassicurante, almeno per i pazienti chirurgici. A lungo termine, però, c’è un aspetto da considerare, quando si schiaccia il piede sull’acceleratore della robotica: la formazione dei chirurghi. Come detto, uno dei vantaggi legati alla presenza del robot in sala operatoria è dato proprio dalla possibilità di far fare formazione sul campo agli specializzandi e ai giovani chirurghi.

Ma se Gianluigi Melotti, direttore della chirurgia generale dell’ospedale di Baggiovara e tra i massimi esperti di chirurgia mininvasiva a livello internazionale, è convinto che «arriveremo a effettuare anche la maggior parte degli interventi di chirurgia generale con il robot», rimane il dubbio che i chirurghi del futuro possano non essere all’altezza di «convertire» un paziente direttamente in sala operatoria: ovvero di sottoporlo a un intervento tradizionale in corso d’opera, per esempio a seguito di una sopraggiunta complicanza.

«Questo rischio c’è, iniziamo a discuterne», è l’appello di Artibani, convinto che la fase di transizione sia destinata a proseguire verso un approdo ancora più tecnologico: coi robot in grado di essere programmati ed effettuare l’intervento senza la guida da parte del chirurgo. «L’abilità del chirurgo va tutelata, dobbiamo essere sempre pronti a intervenire di fronte a un eventuale fallimento della tecnologia».

Dobbiamo temere questa nuova rivoluzione alle porte?

Tutte le novità vengono sempre osteggiate dalla massa.

La novità fa sempre paura, è difficile uscire da un’area di confort per imparare qualcosa di nuovo o modificare le proprie abitudini.

Però il trend è chiaro, almeno ai miei occhi, la robotica è la prossima rivoluzione.

Abbiamo passato tanti cambiamenti come esseri umani; molti di questi sono avvenuti o stanno venendo in questi ultimi cento anni: dalla invenzione della macchina a vapore, del motore a scoppio per passare attraverso la rivoluzione industriale, passando attraverso la globalizzazione, l’informatizzazione, la digitalizzazione, la virtualizzazione nei prossimi anni la robotizzazione.

Di carattere io sono un positivo e accolgo con favore le novità ed i miglioramenti, e credo che la robotica permetterà un salto di qualità delle nostre vite enorme.

Si perderanno posti di lavoro a favore dei robot?

Certo, ma se un posto di lavoro può venire soppiantato da una macchina, allora io penso che quel lavoro non era umanamente dignitoso per l’uomo che lo svolgeva.

Se un lavoro è talmente ripetitivo da poter essere svolto da una macchina, l’uomo che lo svolgeva era destinato ad inaridirsi come una macchina, perché a mio avviso come esseri umani meritiamo di più di un semplice lavoro ripetitivo.

Certo, questa competizione con le macchine ci porterà a dover essere creativi, emozionali, unici e non sostituibili, ma questo ritengo sarà un bene per l’umanità.

Forse un giorno non troppo lontano, potremmo permetterci di lavorare tutti meno, di poterci godere di più la vita, di poter apprezzare meglio quegli aspetti che ci differenziano dalle macchine, grazie alle macchine stesse che faranno i lavori “faticosi” per noi.

Qualsiasi azienda attiva sul mercato, indipendentemente dal settore, dalla tipologia di azienda e dalle dimensioni, ha la necessità di dotarsi di un sistema di archiviazione dati sicuro e robusto. I dati sono oggi, a tutti gli effetti, un patrimonio aziendale e come tale devono essere salvaguardati. Soprattutto, in un’ottica di tutela, privacy e concorrenza, i dati aziendali sono un elemento sensibile e possono finire nelle mani di pirati informatici.

Diversi sono i sistemi per comprimere e criptare i dati, così come diversi sono i sistemi di archiviazione dei dati e i supporti sui quali è possibile conservarli. Vediamo in dettaglio alcune tra le variabili da tenere in considerazione quando l’azienda deve decidere dove e come archiviare i propri dati.

Archiviare i dati aziendali, quali sono i sistemi e i supporti idonei?

Sistemi Storage
I sistemi di storage sono, semplicemente, dei sistemi che si occupano di memorizzare dati. Esistono tipologie diverse di storage. Ad esempio, possiamo avere un piccolo server in una rete aziendale, collegato a 10-20 computer in ufficio, e dotato di alcuni hard disk, oppure armadi SAN (Storage Area Network) che contengono centinaia di hard disk. Un altro metodo per conservare i dati aziendali è utilizzare tecnologie cloud che distribuiscono i dati usando datacenter in tutto il mondo.

Supporti per l’archiviazione

I supporti standard attuali sono hard disk (HDD – archiviazione magnetica su dischi di metallo che girano ad alta velocità) e solid state (SSD – stesso tipo di memoria flash usate nei cellulari). Gli HDD sono più economici, gli SSD sono più veloci.

Comprimere e criptare i dati per l’archiviazione

I dati devono essere cifrati se sono dati sensibili che vengono memorizzati su sistemi esterni all’azienda (cloud) o anche su sistemi interni, ma rappresentano dati delicati. Bisogna però avere una corretta gestione delle chiavi di cifratura: parecchi dei furti di dati avvenuti in tempi recenti ha coinvolto dati cifrati in cui le chiavi non erano protette adeguatamente.

Differenze fra backup e archiviazione dati

Il backup è una copia dei dati (e spesso anche delle applicazioni) presenti sul computer, si fa a scopo di sicurezza per evitare la perdita di dati. Con archiviazione dati intendiamo invece la creazione di un sistema di dati aziendali, ai quali tutti gli utenti, nel rispetto delle policy aziendali, possono accedere.

Con l’avvento dei Big Data, occorre ampliare e considerare l’archiviazione di grandi volumi di dati. Infatti i big data ci costringono a progettare, gestire e mantenere sistemi di archiviazione dati capaci di gestire e processare volumi sempre maggiori.

Archiviare i dati aziendali, meglio in Cloud?

Nel caso dell’archiviazione dei dati con sistemi di Cloud occorre tenere in considerazione variabili diverse, cruciali per l’azienda. Di solito i costi per un sistema di archiviazione in cloud sono più bassi rispetto a quelli necessari per mettere in piedi e mantenere un proprio sistema di archiviazione dati. Ma non si possono valutare solo i costi senza tenere in conto le politiche aziendali: non tutti sono favorevoli a dare in outsourcing la gestione dei dati aziendali. Per questo, al fine di trovare il miglior equilibrio tra costi e politiche aziendali, spesso si ricorre a soluzioni ibride in cui una parte dei dati è sul cloud, mentre una parte, “critica”, rimane in azienda. Quando l’azienda si appresta a scegliere sulla base di politiche aziendali o su valutazione costi, occorre sempre ricordare che non sempre i sistemi aziendali sono più sicuri del cloud, perché possono essere vulnerabili e facilmente attaccabili.

Sistemi di archiviazione e ricercabilità dei dati: valutazioni e schemi

Una volta scelto il supporto ed il metodo di archiviazione, il processo non è ancora completo! È durante la fase di archiviazione che occorre prevedere anche un sistema di ricercabilità dei dati, ovvero un metodo di archiviazione che permetta di ricercare e trovare i dati archiviati anche a chi verrà dopo, anche a chi non ha ideato il sistema. Un esempio chiaro per spiegare i criteri di ricercabilità – quindi di archiviazione che precede – dei dati è quello degli elenchi del telefono. Il vecchio elenco del telefono riportava per ogni abbonato, in ordine alfabetico, il numero telefonico. Chi ha interagito con un elenco del telefono capisce che con un elenco è facile trovare il numero di un abbonato, dato il suo nome, ma se la domanda fosse stata “Ho trovato una chiamata persa sul mio cellulare, come faccio ad associarlo ad un nome?”, l’elenco non sarebbe stato poi così utile! Sarebbe servito un altro tipo di elenco, con le stesse informazioni (associazione nome-numero), ma ordinato per numero di telefono e non per nome.

La ricercabilità dei dati dipende fortemente dal tipo di dati e dalle informazioni che si vogliono ottenere. Spesso abbiamo sistemi ottimizzati per alcuni tipi di ricerche che poi vanno lentissimi non appena cambiamo il tipo di ricerche che vogliamo fare. È quindi fondamentale prevedere a monte gli utilizzi e le ricerche che si potrebbero associare al volume dei dati prima di passare all’archiviazione degli stessi.

La Blockchain

La Blockchain è una tecnologia informatica che viene utilizzata per eseguire delle transazioni finanziarie evitando di utilizzare gli intermediari finanziari (le banche). Il termine Blockchain in italiano può essere tradotto con “catena di blocchi”, infatti questa tecnologia è costituita da una serie di blocchi che formano una catena.

La Blockchain è il libro mastro o il registro pubblico di tutte le transazioni collegate tra loro in rete.
Il sistema è stato inizialmente sempre collegato alle criptovalute, infatti è stato proprio Satoshi Nakamotopresunto inventore dei bitcoin, a creare questo nuovo sistema di contrattazione informatica.

Questo sistema serve a scambiare le criptovalute e creare un registro per tutte le transazioni eseguite con le nuove monete digitalizzate.
Il funzionamento è molto semplice ma è più comprensibile se si parte da un esempio: se Tizio deve vendere una casa a Caio è necessario eseguire una transazione commerciale, di conseguenza se si vuole utilizzare la Blockchain bisogna creare delle chiavi (Cryptographic Keye inserire tutte le informazioni riguardanti la compravendita(prezzo, dati immobile, dati personali dei contraenti), in questo modo viene creato un nuovo “blocco” della catena che identifica questa specifica transazione commerciale.

Dopo aver creato il blocco, sono gli utenti stessi che partecipano alla catena a validare la suddetta transazione e se gli elementi sono corretti questa viene ascritta nel registro pubblico.

Se si eseguono le operazioni finanziarie con una blockchain si ottiene maggiore trasparenza, poiché il registro è pubblico e può essere visionato da tutti gli utenti. La catena di blocchi si allunga ogni volta che viene validata la transazione e tutte le operazioni sono inserite in ordine cronologico. La validazione viene eseguita dal cosiddetto “miner“, che tramite un complesso processo matematico controlla e verifica tutti i dati inseriti.

Le diverse applicazioni in ambito informatico e non della blockchain

La blockchain si presenta come uno strumento finanziario particolarmente utile per gli istituti di credito, che utilizzando questa nuova tecnologia informatica potranno diventare dei depositi sicuri per i trasferimenti di criptovalute e grazie alla crittografia assicurare una maggiore sicurezza ai risparmiatori. Essa è diventata l’ultima frontiera in campo finanziario per le sue innumerevoli applicazioni, in particolare in ambito informatico, amministrativo e della sicurezza.

I due colossi dell’informatica, Samsung e IBM, stanno sviluppando un sistema chiamato ADEPT che utilizzerà le blockchain per tracciare e gestire una grande quantità di dispositivi connessi tra loro, sostituendo l’utilizzo di un sistema centrale che veicoli la comunicazione tra di essi.

Un altro impiego riguarda il sistema di archiviazione cloud, potrà essere eliminato il sistema centrale che raccoglie i dati e optare per un’archiviazione decentralizzata più sicura e affidabile.

A livello informatico il registro pubblico della blockchain è un formidabile alleato nel settore della cyber security, infatti ogni operazione viene eseguita tramite crittografia avanzata, quindi sarà più difficile manomettere e modificare i dati o limitare gli attacchi degli hacker.

Può essere impiegata nel trading online per facilitare e accelerare le operazioni di acquisto e vendita delle azioni, consentendo allo stesso tempo di tenere sempre sotto controllo le transazioni grazie al registro pubblico.

In campo amministrativo, l’innovativa tecnologia informatica potrebbe addirittura ridurre i tempi della burocrazia, infatti sarà più semplice autenticare e validare i documenti (titoli di studio, attestati, certificazioni).
Nel settore della vendita al dettaglio, la blockchain servirà per eliminare gli intermediari e collegare direttamente i venditori con i potenziali clienti.

Le innovazioni tecnologiche nelle aziende

La tecnologia è di grande aiuto allo sviluppo del business aziendale. Un approccio disruptive alla innovazione tecnologica è necessario se si vuole velocizzare i processi aziendali integrando le informazioni e le piattaforme che li gestiscono. L’innovazione tecnologica coinvolge anche il marketing ed è parte della digital transformation di un’azienda.

Perché è necessario un approccio disruptive alle nuove tecnologie

Tutti noi utilizziamo ogni giorno tecnologie che sono state introdotte come elementi di disruptive innovation rispetto a quelle precedenti: pensiamo a WhatsApp, che ha rivoluzionato anche il modo di lavorare tra colleghi o ai tool di videoconferenza, come Skype e Google Hangouts, con i quali sono state sostituite molte riunioni in presenza. Le implicazioni per le aziende e i loro manager sono di rilievo, perché una video call è in genere più breve ed efficiente di una riunione tradizionale e permette di ottimizzare il tempo dei partecipanti, riducendo gli spostamenti e i costi conseguenti.

Le aziende stentano ad adottare tecnologie troppo innovative

Nelle aziende un approccio disruptive, tipico delle start up, non è sempre vissuto come una opportunità. Lo confermano alcuni rapporti che sono univoci nel rilevare come i manager che hanno raggiunto risultati di business consolidati mostrino in genere un approccio meramente incrementale all’innovazione tecnologica. Essi ritengono che, una volta che il prodotto è ben definito e ha raggiunto una soddisfacente penetrazione del mercato, l’adozione di nuove tecnologie sia ormai finalizzato all’innovazione di processo, che efficienta il lavoro e riduce i costi.

Perché le aziende sono spesso poco attratte dall’innovazione tecnologica? Si può intuire che i cambiamenti più disruptive vengano considerati rischiosi, perché presentano elementi di incertezza rispetto alla situazione esistente. Altro motivo può essere legato a strategie che fanno riferimento al mercato attuale e alle modalità di acquisto, che appaiono generare risultati soddisfacenti. In molti casi è evidente la difficoltà di interpretare i bisogni reali dei clienti per elaborare strategie di business attraverso un processo di digital transformation. Se il focus dell’azienda è ancora centrato sul prodotto e sul fatturato e non sul cliente e sulle sue necessità – in sostanza focalizzato sulla offerta attuale anziché sulla domanda – non si tenta di costruire il prodotto disegnandolo sulle esigenze del cliente. In sostanza non si innova, se non nella produzione e nella logistica, per ridurre i costi operativi.

I trend tecnologici più disruptive dei prossimi anni

È quindi importante analizzare le nuove tendenze offerte dalla tecnologia, per verificare la possibilità di integrarle nella strategia di business o in quella di marketing. Ecco le più rilevanti:

 Analisi dei dati e AI

L’Intelligenza Artificiale, o AI, sarà sempre più presente nei software ERP e CRM. Il trend mostra che i software gestionali evoluti e quelli di gestione dei clienti e marketing automation si stanno orientando verso l’implementazione di questi elementi. Intelligenza artificiale e Machine Learning, utilizzati soprattutto per automatizzare i processi di data analysis ed elaborazione dei dati, guideranno le piattaforme gestionali e le applicazioni per dispositivi mobili. I dati continuano ad acquisire un forte valore, perché una strategia di  business e di marketing si rivela molto più efficace se guidata da elementi certi e misurabili. La loro analisi richiede forte competenza specifica, quindi la automazione di queste operazioni è sempre più funzionale al successo dell’azienda. La tendenza mostra in modo evidente lo sviluppo di strumenti di Predictive Analysis, nei quali software guidati dall’Intelligenza Artificiale elaborano una enorme quantità di dati per fornire rapporti predittivi sulle nuove tendenze e sui consumi futuri, interpretando la domanda degli utenti e i loro bisogni riguardo a prodotti e servizi.

 Internet of Things

Attualmente l’IoT è utilizzato per connettere oggetti a piattaforme di raccolta o trasmissione di dati, di carattere ancora elementare. La tendenza all’introduzione di questa tecnologia è sempre più interessante anche per le aziende, perché semplifica l’interazione uomo/macchina. Ne beneficeranno, ad esempio, il settore della logistica perché i sensori consentono di fornire agli strumenti, come carrelli, scaffali, magazzini e merci, una vita autonoma, almeno in parte. I macchinari, i locali, la filiera che prevede l’’immagazzinamento, l’imballaggio, la spedizione e la consegna, sarà gestita da macchine intelligenti, in grado di collaborare tra loro per ottimizzare i processi. Le fabbriche del futuro, legate al concetto di Industria 4.0, potranno così avvalersi di robotica automatizzata. Anche nella home automation l’IoT sta entrando prepotentemente, per ora intervenendo su termostati ambientali, gestione dell’illuminazione e dell’antifurto ma le prospettive sono davvero senza limiti e riguarderanno la dispensa, il giardino e tutte le automazioni, fino a strumenti che apprendono i comportamenti degli abitanti e prevengono le loro necessità. Anche gli assistenti virtuali, proposti già dai sistemi operativi per desktop e mobile, saranno sempre più presenti nella vita delle persone. Introdotti nelle abitazioni grazie a Siri, Cortana, Google Assistant e Alexa, queste interfacce per la conversazione – una delle quali realizzata non a caso da Amazon – consentiranno di ordinare la spesa e fare acquisti online. In casa si hanno spesso le mani occupate e già oggi è possibile ascoltare notizie, richiedere informazioni sul meteo, su orari e molto altro attraverso semplici comandi vocali.

 

Perchè investire sull’outsourcing

L’outsourcing si definisce come il meccanismo per mezzo del quale l’azienda, privata e pubblica, esternalizza i propri processi con l’obiettivo di renderli più efficienti ed efficaci.

 

 Outsourcing e mondo IT 

Nel settore IT tale pratica è consolidata: nel recente passato soprattutto per le componenti infrastrutturali, oggi anche il software (SaaS) i consulenti informatici e talvolta l’intera funzione ICT. Si prenda come esempio la gestione della posta elettronica, ormai in prevalenza esternalizzata per questioni di flessibilità, di sicurezza e continuità di servizio, di accessibilità in mobilità, di indipendenza dalla piattaforma.

Ma quali sono i driver che guidano le scelte aziendali verso l’outsourcing? Secondo un modello interpretativo classico, prevalgono i vantaggi di ordine economico:

  • Vantaggi di costo: i costi fissi (immobilizzazioni) divengono variabili (canoni);
  • Aumento dell’efficienza: il provider esterno ha competenze, tecnologia e massa critica per innovare continuamente i servizi erogati;
  • Focalizzazione sulle principali attività dell’impresa: le risorse dell’azienda vengono impiegate nel “core business”
  • Risparmio su infrastrutture e tecnologia: il provider esterno ha un potere contrattuale maggiore verso il fornitore di tecnologia;
  • Accesso a personale altamente qualificato: il provider esterno si avvale di personale esperto in vari ambiti, è attrattivo verso il mercato del lavoro, realizza economie di apprendimento e specializzazione;
  • Time-to-market e alta qualità: si genera un miglioramento in termini di qualità e velocità dei processi.

Negli ultimi anni si è manifestata una tendenza all’utilizzo dell’outsourcing come risposta all’esigenza delle imprese che operano in un contesto competitivo globale per assicurarsi assetti organizzativi sempre più dinamici ed efficaci sul mercato.

La facilità di accesso e la velocità di diffusione di nuove tecnologie e metodologie di lavoro (Agile) hanno disegnato nuovi paradigmi decisionali per scegliere l’outsourcing:

  • Risk management: l’outsourcing permette di superare il normale turnover e le carenze del personale;
  • Evitare effetto Lock-in: l’evoluzione tecnologica è talmente rapida che il passaggio da una tecnologia all’altra costerebbe troppo per le aziende;
  • Servizi complessi: l’outsourcing di processo (BPO)

A seguito di un’attenta analisi dei possibili fornitori e dell’instaurazione di una partnership, l’azienda potrà sperimentare i vantaggi di una scelta di questa natura:

L’IT service provider aiuta e sostiene le realtà che si confrontano con questo contesto e concorre al contenimento dei costi aziendali, alla riduzione del rischio e all’aumento dell’efficienza.

Oggi la scelta dell’outsourcing, oltre alla riduzione dei costi, deriva da considerazioni effettuate sulla base di scelte strategiche in cui alleanze e fusioni ridefiniscono la presenza dei gruppi sul mercato.

 Esigenze e risultati aziendali 

L’esigenza di ricorrere all’outsourcing spesso si manifesta in fase di revisione dei risultati e delle politiche aziendali oppure a seguito di nuove necessità come ad esempio cogliere nuove opportunità di mercato che richiedono competenze assenti all’interno dell’impresa.

In molti casi la decisione di adottare soluzioni in outsourcing risulta la strada più adatta da percorrere per le aziende, maggiormente focalizzate sulla competizione di mercato. Il provider di servizi di integrazione sfrutta economia di scala e di apprendimento per essere sempre aggiornato e fornire un servizio innovativo ed affidabile.

dEDIcated è per esempio un IT service provider che sostiene e supporta il business dei propri clienti, aiutandoli ogni giorno a raggiungere maggior competitività sul mercato favorendo rapporti commerciali solidi, in tutti i Paesi del mondo.

Le tecnologie che cambieranno le PMI

Le fabbriche stanno cambiando, così come le tecniche di produzione. Non sono più le industrie dei nostri nonni: i robot hanno automatizzato gran parte delle fasi di produzione e la catena di montaggio dei primi anni del XX secolo è solo un lontano ricordo.

Ora a farla da padrone è la tecnologia. Ogni macchinario può essere gestito da remoto e soprattutto comunica con gli altri strumenti presenti nella fabbrica. Le nuove tecnologie del XXI secolo, dai big data fino alla realtà aumentata, stanno prendendo sempre più piede all’interno delle fabbriche, anche quelle italiane. La vera sfida del futuro per le PMI è riuscire a cogliere al volo le opportunità offerte dall’Industria 4.0. Le nuove tecnologie stravolgeranno i metodi di produzione e permetteranno alle piccole e medie imprese italiane di riguadagnare competitività sul mercato mondiale. Ma sarà necessario anticipare il cambiamento e conoscere quali saranno le tecnologie da implementare all’interno delle fabbriche.

Internet of Things

Solitamente quando si parla di Internet of Things si pensa sempre ai dispositivi per la smart home o ai wearable che si collegano con lo smartphone. L’Internet delle Cose avrà un’importanza fondamentale all’interno delle fabbriche. I nuovi strumenti hanno la possibilità di connettersi a Internet e di essere gestiti anche a chilometri di distanza, facilitando la gestione della produzione da parte dell’azienda. Un “cervello” centrale potrà decidere se aumentare la produzione o diminuirla a seconda degli ordinativi e impostare i macchinari da remoto.

5G

Per poter controllare una fabbrica “connessa” sarà necessario avere una connessione stabile, ma soprattutto veloce. Per questo motivo il 5G sarà il futuro delle aziende “connesse” e permetterà di fare un deciso passo in avanti. Per le PMI sarà fondamentale dotare le proprie aziende del 5G, in modo da monitorare e gestire al meglio la produzione. Il nuovo standard per la connettività permetterà di sviluppare contatori dell’acqua e dell’elettricità intelligenti, ma anche monitorare il ciclo dei rifiuti e controllare le auto a guida autonoma. Se le PMI vogliono diventare connesse, non potranno fare a meno della connessione 5G.

Realtà aumentata

Negli ultimi anni si fa un gran parlare di Industria 4.0 senza sapere a cosa si fa riferimento e soprattutto quali sono le tecnologie che ne fanno “parte”. La realtà aumentata è sicuramente una di queste. Tecnologia che sta trovando sempre più spazio all’interno degli smartphone, la realtà aumentata è pronta a sbarcare anche in fabbrica (e in molte lo ha già fatto). L’augmented reality può portare benefici in decine di settori, ma soprattutto permette di ottimizzare i tempi di produzione. Ad esempio l’AR può fare la differenza durante le fasi dell’assemblaggio o dell’installazione di alcuni strumenti nelle macchine o nella manutenzione e nella riparazione delle automobili. Inoltre, è abbastanza semplice da utilizzare: basta un tablet e la giusta applicazione. Nei prossimi anni, saranno sempre di più le aziende che richiederanno agli operai di utilizzare smartphone e tablet durante il processo produttivo.

Big Data

Il fenomeno più interessante, ma allo stesso tempo più difficile da gestire, è sicuramente quello dei big data. Per le PMI che vogliono crescere e restare competitive sarà necessario avere le capacità per analizzare grandi database di dati. Lo studio dei big data permette di scoprire eventuali problemi nella catena produttiva prima che diventano troppo difficili da risolvere. Il data analyst e il data scientist diventerà una figura cardine all’interno delle PMI italiane.

Internet of Things: a cosa serve ?

Casi d’uso nelle soluzioni per i consumatori

Oltre al beneficio principale offerto al consumatore, l’utilizzo del dispositivo smart per il suo scopo specifico, l’adozione delle tecnologie IoT può permettere all’azienda produttrice di ottenere nuove informazioni di valore da sfruttare in prima persona, da trasferire al consumatore come valore aggiunto successivamente all’acquisto del prodotto, o ancora monetizzato attraverso l’erogazione di nuovi servizi.

Alcuni esempi di questi benefici secondari sono:

  • Ottenere informazioni diagnostiche sul funzionamento dell’oggetto per migliorare la manutenzione, preventiva o dopo che si è manifestato un guasto;
  • Ottenere indicazioni sul reale utilizzo delle funzioni da parte del consumatore, per focalizzare meglio ricerca e sviluppo di nuovi prodotti;
  • Acquisire dati per creare analisi di mercato, anche da cedere a terzi (in accordo con le licenze d’uso dei prodotti venduti), e proporre nuovi prodotti o servizi al cliente in modo personalizzato, in base alle esigenze rilevate.

Casi d’uso per le aziende

In ambito aziendale, l’IoT viene utilizzato in numerosi casi d’uso innovativi che in qualche caso sono riproposizioni delle tecnologie consumer su scala più vasta, ma in altri casi sono applicazioni specifiche del settore di attività dell’azienda in questione.

Alcuni esempi tra i più evidenti sono:

  • Utilizzo di sensori sulle macchine e nelle linee di produzione per ottimizzare i processi industriali, ridurre costi e sprechi, abilitare la manutenzione predittiva e migliorare la qualità;
  • Utilizzo dei dati di posizione geografica delle flotte di veicoli nei trasporti di merci e persone, anche per la creazione di nuovi servizi di mobilità (car/bike sharing);
  • Ottimizzazione dei costi di gestione e manutenzione (riscaldamento / raffrescamento, consumi energetici) di grandi edifici, quartieri o intere città (smart cities).
  • Tracciamento delle presenze negli spazi commerciali, per attività di marketing personalizzato e territoriale;
    In ambito ospedaliero, per il monitoraggio dei parametri dei degenti;
  • Tariffazione in base all’effettivo utilizzo di alcuni servizi. Per esempio, in campo assicurativo, per la creazione di polizze personalizzate in base al profilo di reale utilizzo dei veicoli o delle abitudini di guida (compatibilmente con le leggi locali in materia di privacy);
  • In campo utility, per il rilevamento a distanza dei consumi, ma anche per ottenere informazioni più dettagliate che permettano una pianificazione più efficiente delle risorse;
  • Poter gestire da remoto un prodotto/macchinario, e aggiungere un livello di servizio ulteriore post-vendita;
  • Tracciamento e inventario dell’intera catena del prodotto, dall’approvvigionamento delle materie prime ai magazzini dei prodotti finiti, fino alla giacenza nel punto vendita.

Italia è sempre più digitale. Lo dicono i numeri del mercato di riferimento, ancora in crescita dopo la ripresa e la buona salute già registrata negli anni scorsi, con una incremento nel 2017 del 2,3% ad oltre 6,8 miliardi di euro. Il trend positivo evidenziato delle rilevazioni di Anitec-Assinform (l’associazione di Confindustria che raggruppa le principali aziende del settore digitale) è destinato a durare anche nei prossimi anni: +2,6% per il 2018, +2,8% per il 2019, +3,1% per il 2020. Gli anni bui sono dunque alle spalle, grazie al traino delle componenti più legate all’innovazione, ma solo la continuità delle politiche per la digitalizzazione già avviate (dall’l’inclusione digitale di Pmi e territori alla modernizzazione della Pa e lo sviluppo diffuso delle competenze) permetterà il recupero del forte gap digitale accumulato in passato.